- Cinefocus, Scene memorabili

Un raduno inutile ma… un sacco bello

Verdone ad oggi è probabilmente il più grande caricaturista italiano. Erede naturale di un attore come Alberto Sordi, ha maturato la sua esperienza di regista proprio in quella Roma che ha fatto da sfondo a tanti dei suoi film. Con una differenza, però: mentre i personaggi di Sordi erano sempre interpretati con straordinaria empatia – per cui anche quelli fortemente negativi mostravano di avere un substrato umano, una qualche ragione di esistere, ed erano in parte almeno assolvibili – quelli di Verdone sono ritagliati invece con precisione chirurgica, con un’estraneità di fondo del regista che ne rivela tutta l’inguaribile meschinità, senza appello.

Verdone riesce a calarsi in più parti contemporaneamente, tutte perfettamente definite. I suoi personaggi raramente hanno un fondo introspettivo concreto: sono come figurine ritagliate nella carta, sottili e compresse in superficie. I loro pensieri si manifestano immediatamente in azioni: coi loro tic, la loro parlata biascicata e gergale, le loro fisse e le loro frenesie, essi formano un vero e proprio quadro umano, un comicissimo corteo di maschere, specchio deformante della nostra società. Prendiamo ad esempio il film che, probabilmente, è stato il vero e proprio trampolino di lancio del nostro regista: Un sacco bello, del 1980.

I personaggini di Verdone in Un sacco bello

In un’afosa giornata di agosto, quando Roma si svuota e quasi tutti sono fuori a godersi le sospirate ferie, sotto un sole accecante e un caldo torrido eccoli là, i personaggini di Verdone: si trascinano in mezzo alla folla frettolosa, quasi timorosi di essere visti, tutti intenti alle loro attività. La parte che andremo a rivedere sarà quella del giovane hippie Ruggero.

Redimere il figliol prodigo

Ruggero se ne è andato di casa tempo fa, stanco delle solite convenzioni borghesi, nonché delle pretese del padre, un Mario Brega in forma splendida. La scena è veramente esilarante. Dopo essere stato sorpreso proprio dal padre mentre chiedeva l’elemosina a un semaforo, viene trascinato quasi di forza alla sua vecchia casa, insieme alla pseudo-fidanzata Fiorenza (Isabella De Bernardi). Una volta a casa, il padre le prova veramente tutte per redimere quella specie di figliol prodigo.

Il parroco, il professore e il cugino

Si appella alla verve oratoria di un parroco, suo vecchio amico, Don Alfio (sempre Verdone); si affida all’eloquenza un po’ ammuffita di un tale Professore (di nuovo Verdone); fa addirittura mandare a chiamare il cugino Anselmo (ancora Verdone, naturalmente), che lo assale con una fiumana di parole, con l’intenzione di convertire Ruggero alle gioie della famiglia.

Alla fine, dopo moltissime gags memorabili, il povero padre deve rinunciare: riaccompagnerà Ruggero al suo destino, cercando di non pensare a dove si recherà a dormire quella notte. Eccoci qui, dunque. Questi cinque tipi umani sono così ben caratterizzati che non si può minimamente pensare che non si siano mostrati del tutto, in quelle poche battute.

In questa sorta di moderno fescennino, rivediamo trasfigurata nel comico l’anima stessa della romanità. Ogni ruolo è già scritto in partenza: i personaggi sanno già la loro parte, entro la quale possono svariare a piacimento, ma dalla quale non possono uscire.

Quindi, Don Alfio farà la parte del piccolo parroco di quartiere: bonaccione, ambiguo, tutto ristretto nella propria devozione un po’ spiccia e qualunquistica, così generoso di citazioni evangeliche (spesso scorrette), sempre pronto a divagare e a sconfinare in territorio teologico-astratto.

Anche il Professore non potrà prescindere da una certa fissità: un po’ tronfio, pago della propria eloquenza, sicuro di sé, esaurisce nelle continue smorfie tutta la sua (presunta) tensione intellettuale.

Non parliamo del cugino, poi, che presenta a Ruggero un’alternativa a dir poco meschina e piccolo-borghese. E Ruggero? Ruggero, in fondo, è il peggiore di tutti. Sembra l’unico ad aver fatto delle scelte coraggiose nella vita: il suo sproloquio, però, lascia intravedere soltanto una grande apatia.

Discussione senza comunicazione

In tutta questa discussione, i personaggi non comunicano mai. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino, riconduce il problema alla propria esperienza. La discussione ha preso una piega talmente astratta, che nessuno si ricorda più davvero perché è lì. Così, alla fine, escono tutti sconfitti.

Verdone è spietato con quasi tutte le sue creature. infatti, quando tutti se ne vanno, ci sembrerà di provare un gran senso di vuoto e stanchezza. Una desolazione strana, preoccupante persino. Si può ridere di tutto, a meno che non ci si trovi coinvolti. E noi, siamo sicuri di non esserlo?

Guarda la scena

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *