Titolo originale: Joachim and the Apocalypse
Regia: Jordan River
Sceneggiatura: Michela Albanese, Valeria De Fraja, Jordan River, Andrea Tagliapietra
Cast: Francesco Turbanti, Alessio Braconi, Nikolay Moss, Elisabetta Pellini
Musiche: Michele Josia
Produzione: Italia, USA 2024
Genere: Biografico
Durata: 90 minuti

Trama
30 marzo 1202. Gioacchino da Fiore (Francesco Turbanti) trascorre le sue ultime ore di vita dialogando col giovane frate Matthaeus (Alessio Braconi), al quale racconta i momenti salienti della sua esistenza: dalle prime visioni apocalittiche fino alla fondazione dell’ordine florense sui monti della Sila, passando per lo scontro con l’ordine cistercense e gli incontri con il pontefice Lucio III, il re Riccardo I (Nikolay Moss) e Costanza d’Altavilla (Elisabetta Pellini).
Recensione
L’idea di raccontare la vita di una figura affascinante ma nel complesso poco nota, qual è quella del mistico Gioacchino da Fiore, era senz’altro interessante. Purtroppo, dobbiamo constatare che Jordan River non è riuscito a valorizzare il materiale di cui disponeva, realizzando un prodotto che galleggia tra la biografia romanzata e il documentario, il tutto incorniciato da fotografia e musiche che farebbero pensare invece all’intenzione di volersi cimentare nella versione casereccia di un kolossal agiografico a tinte fantasy.
Il monaco che vinse l’Apocalisse procede al racconto per episodi della vita di Gioacchino, che tuttavia non sono mai approfonditi, bensì solo toccati e sbrigativamente licenziati, come se il regista avesse timore di lasciare indietro qualche punto importante della vicenda umana del monaco. Il risultato di tale atteggiamento è che il senso complessivo risulta fuori fuoco dall’inizio alla fine del film.
Da qui la sensazione di star assistendo a una carrellata di quelle scene in costume che fungono da complemento “immersivo” nei documentari storici. Peccato che queste sequenze siano quelle che dovrebbero (e vorrebbero) illustrare il pensiero di Gioacchino, come si evince dal tono declamatorio dei dialoghi – perfettamente ridoppiati in post-produzione – e dall’impostazione teatrale della messa in scena e degli attori.
Anzi, proprio l’eccesso di didascalismo e asetticità dei dialoghi, così puliti e privi di qualsiasi inflessione dialettale, aumenta il distacco e impedisce l’immedesimazione. Si crea un effetto di straniamento rispetto alla realtà storica, ricostruita invece, di questo si deve dare atto, con minuzia di particolari nei costumi e nelle scenografie.
Queste sequenze didascaliche si alternano ad altre che vorrebbero invece essere maggiormente evocative, come quelle delle visioni di Gioacchino, caratterizzate da una sovrabbondanza di effetti speciali piuttosto rozzi. Altre seguono gli spostamenti del frate, con una fotografia che si fa magniloquente, con riprese a volo d’uccello a volontà, quasi uscite da un documentario naturalistico piuttosto che dal racconto intimistico di un uomo in contatto diretto con Dio. Il tutto condito dall’onnipresenza di una musica pomposa e dai toni epici, che poco si confà al misticismo silenzioso e meditativo del personaggio.
Per tutto il film si viaggia quindi tra una dimensione che vorrebbe essere istruttiva e una che vorrebbe essere d’intrattenimento, senza riuscire né in un senso né nell’altro: così si arriva alla fine senza aver ben capito a cosa sia dovuta la straordinarietà del messaggio di Gioacchino, e senza neanche aver potuto godere di una storia suggestiva.
Insomma, una grande confusione di idee, nella quale si è smarrita anche quella che poteva invece essere un’interessante idea di partenza.
Curiosità
Il compositore Michele Josia si è aggiudicato diversi premi per la sua colonna sonora, che ha fatto breccia nelle giurie del Global Music Awards, Accolade Competition, Paris Art and Movie Awards e International Sound & Film Music Festival, oltre che dei Septimius Awards.