La storia messa in scena nel 1990 dall’attore e regista Kevin Costner vede protagonista il coscienzioso tenente dell’esercito degli Stati Uniti John J. Dunbar, desideroso di “vedere la frontiera prima che scompaia” e per questo inviato – a seguito di un gesto eroico compiuto in battaglia – in un isolato avamposto ubicato nel cuore del territorio indiano.
Qui, in compagnia del suo fido cavallo Sisco e di un lupo solitario da lui soprannominato Due Calzini, entra per caso in contatto con una tribù di Sioux Lakota che, dopo un’iniziale quanto lecita diffidenza, scorge nel soldato la straordinarietà di un individuo aperto alla bellezza della prateria e alle usanze dei suoi saggi abitanti. Un rapporto bilaterale che sfocia nell’autentica amicizia fra John J. Dunbar, il religioso Uccello Scalciante e l’impetuoso Vento nei Capelli.
John J. Dunbar diventa Balla coi Lupi
Balla coi Lupi ci racconta la parabola di un uomo che decide di abbandonare un mondo ormai irriconoscibile ai suoi occhi per entrare in un altro, puro, giusto e libero. Affrancandosi dalle terribili brutture promulgate dai cosiddetti “bianchi”, John abbraccia una nuova identità diventando Shumani Tutanka Oh Wha Chi, un nome che rappresenta di fatto la sua catarsi.
Il tenente Elgin
Sempre con questo nome avrà modo di constatare definitivamente quanto brutali e irrispettosi siano diventati i suoi ex commilitoni. Tutti meno uno, il tenente Elgin, l’unico a non aver ceduto allo spaventoso processo di disumanizzazione dei “conquistatori folli”.
Balla coi Lupi, stabilitosi in pianta stabile all’accampamento indiano, fa ritorno al forte per recuperare il suo prezioso diario, trovandolo occupato dalle giacche blu. D’improvviso è preso a bersaglio, gli uccidono Sisco prima di divertirsi a trucidare anche Due Calzini, lo malmenano, incatenano e interrogano. In tutto questo, tra militari bifolchi, spietati e analfabeti, il tenente Elgin gli si pone con fare gentile.
Di aspetto ordinato e disciplina impeccabile, è lui a porgergli delicatamente un fazzoletto bagnato per lenire le ferite alla fronte e alla testa. La sua mano pietosa – che tanto ricorda quella di Gesù impegnato a dissetare Ben-Hur durante la sosta degli schiavi a Nazareth – entra nell’inquadratura prima ancora del volto, le cui smorfie disapprovano la barbarie dei suoi rudi sottoposti. Anche il tono di voce appare mite, confortato da uno sguardo di comprensione e volontà di mostrarsi leale, ragionevole, umano.
Non tollerando alcun atto di vessazione, è mal visto e preso in giro in particolare da Spivey ed Edwards, i più indecorosi del contingente. È il primo a cadere quando i Sioux accorrono in aiuto di Balla coi Lupi. Sarà quest’ultimo, in segno di riconoscenza, a impedire a Vento nei Capelli di sfregiare con lo scalpo il corpo inerte di Elgin, la cui espressione distesa ne rivela una coscienza in pace, senza il peso della vergogna di cui non si è mai fatta carico.
Ci piace pensare – anzi ne siamo convinti – che questo tenente, integro e curioso quasi quanto il vecchio John J. Dunbar, avrebbe potuto allo stesso modo avvicinarsi ai nativi e chissà, magari sposare i loro ideali portando in dote lo speciale senso di umanità condiviso con il protagonista durante la sua prigionia.
Il triste destino di Charles Rocket
Il personaggio rivelazione dagli occhi azzurri e dalla nobile barba fu all’epoca interpretato da Charles Rocket, che il 7 ottobre 2005 venne ritrovato morto nel giardino della sua casa in Connecticut con la gola recisa. I medici stabilirono che non si trattò di omicidio ma di suicidio. Una triste e inspiegabile fine quella del tormentato attore, all’età di 56 anni.
Balla coi Lupi contro i falsi stereotipi e i pregiudizi di Hollywood
Con lo stupendo kolossal western Balla coi Lupi, Kevin Costner non solo ha voluto spazzar via tutti i falsi stereotipi del pellerossa feroce, selvaggio predatore e omicida sanguinario, ma anche piegare con assoluta decisione i pregiudizi fino a quel momento vergognosamente radicati in quel di Hollywood e dintorni.
La vergognosa edizione degli Oscar nel 1973
Se scaviamo un po’ nella memoria delle cronache riferibili agli Academy Awards (il capolavoro di Costner di Oscar ne ha vinti meritatamente sette), troviamo un limpido esempio di cosa significhi odio e intolleranza, standardizzati al punto da sfociare in violenza verbale pubblica, manifestazione di un sintomatico atteggiamento razzista.
L’edizione del 1973 fu memorabile perché non soltanto si assistette al rifiuto della statuetta da parte di un attore, l’immenso Marlon Brando (miglior attore per Il Padrino), ma anche alla salita sul palcoscenico del Dorothy Chandler Pavilion (presso il Los Angeles Music Center) di una nativa americana, Sacheen Littlefeather.
La giovane apache fece gentil cenno a Roger Moore di tenere per sé il premio – cosa che imbarazzò non poco l’ex 007 e la platea – esprimendo invece la volontà di pronunciare un discorso-denuncia redatto da Brando a difesa degli Indiani d’America, volto a criticare aspramente la loro menzognera rappresentazione nel cinema a stelle e strisce, in particolare quello di John Ford.
Le fu concesso un minuto, sufficiente appena per leggere un quarto di pagina delle otto totali, a causa della censura esercitata dal potente produttore Howard Koch. La ragazza venne presa di mira da fischi e insulti, schernita con pianti imitati e colpi di tomahawk mimati nonché da un John Wayne inferocito e da un Clint Eastwood che, con intento derisivo, esclamò:
“Forse dovrei consegnare questo premio a nome di tutti i cowboy uccisi in tutti i western di John Ford nel corso degli anni.”
Erano i giorni in cui l’American Indian Movement stava occupando una riserva per protestare contro l’uccisione di un Sioux Lakota a Wounded Knee, laddove nel 1890 l’esercito statunitense si lasciò andare a un deliberato eccidio.
Con tutta probabilità la gogna subita da Sacheen Littlefeather segnò l’appena 18enne Kevin Costner che, a distanza di 17 anni, diede una sonora lezione all’intero entourage hollywoodiano dando anima visiva al romanzo omonimo di Michael Blake. Balla coi Lupi suona ancora oggi come un repentorio “Vergognatevi!” rivolto agli haters dei nativi, invitando invece le generazioni più perspicaci a conoscere la cultura Sioux, a deplorare l’espropriazione violenta dei loro beni, l’espianto sociale subito da quel popolo fiero ma pacifico.