- Cinefocus, Cinema e Cultura

Eli Roth sulla scia di Deodato: The Green Inferno è l’omaggio a Cannibal Holocaust

Cannibal Holocaust è un film orripilante e disgustoso. Ruggero Deodato nel 1980 ci mostrò la crudeltà della società contemporanea, l’assurdità delle prassi dei mass media, il formicaio tribale delle città moderne come New York traslate, per cosi dire, in significati e significanti, attraverso una “minor crudeltà” delle comunità tribali amazzoniche, capaci di aspre reazioni soltanto se provocate.

Tutto questo lo rendono un “capolavoro” di genere, un film che ha fatto la storia del cinema splatter-horror. Oggi Eli Roth ci mostra un tentativo di omaggio di quella pellicola, Cannibal Holocaust, attraverso The Green Inferno dove, sempre in Amazzonia, un gruppo di fotografi vuole salvare gli indigeni dalla deforestazione mostrando il loro placido stile di vita, con gravi conseguenze.

La trama di The Green Inferno fra cattiveria umana e vendetta

La trama mostra da subito le differenze di contenuto tra i due splatter, l’uno carico di messaggi di criticità nei confronti della società occidentale, l’altro alleggerito da qualsiasi esame sociologico, rassegnato alla cattiveria degli uomini a qualsiasi latitudine, forse ancora meno di quella in cui gli annoiati e assonnati cittadini vivono. Forse un remake-omaggio all’insegna della vendetta, oppure del trash?

Sì, perché The Green Inferno parte bene, ma si “perde” in situazioni a dir poco surreali, per l’esperienza del regista. Si parte da un mondo protetto e ovattato, in un campus universitario newyorkese in cui Alejandro (Ariel Levy) studente carismatico attivista di un gruppo locale, esorta gli studenti universitari a unirsi a lui con un ruolo attivo, anziché isolarsi davanti a un computer alla ricerca di un retweet. Uno dei suoi sodali dirà “Non pensare, agisci!” alla giovane e borghese Justine (Lorenza Izzo), che si unirà a loro più colpita dalla bellezza di Alejandro che dalle sue parole.

Il gruppo vola in Perù deciso a salvare degli indios di Yurimaguas minacciati dalle ruspe delle multinazionali. Dopo una piccola vittoria, la fusoliera dell’aereo in cui i ragazzi sono comodamente adagiati prende fuoco. Tutti cadono. I sopravvissuti verranno “raccolti” dai nativi.

Cruelty and revenge

In The Green Inferno, al contrario del suo predecessore, gli attivisti sono pacifici e non indugiano ad azioni di cattiveria gratuita, cosa che, al contrario, fanno gli indigeni amazzonici. In Cannibal Holocaust i fotografi partivano nella foresta preconcetti, volendo fare un servizio sul cannibalismo degli autoctoni, trovando però una tribù tranquilla, composta da donne, vecchi e giovani che praticano, probabilmente con l’aiuto degli adulti assenti per la caccia, il cannibalismo guerriero verso i nemici conquistati, cosa che accade davvero nelle tribù antropofaghe.

Cosa fare senza un servizio da migliaia di dollari su un tema inesistente? Creiamolo! I civilissimi americani indugiano in squartamenti di animali vivi, scene di sesso pubblico, droga e vessazioni. Ma in nessun caso, in nessuno, gli indigeni attaccano. Non reagiscono, impauriti da quel gruppo di pazzi venuti da chissà dove. I reporter girano scene crudeli, che verranno poi addebitate agli indigeni che hanno, si vede, molta meno fantasia degli occidentali.

Quando gli indigeni adulti tornano dalla caccia, vedendo inorriditi stupri, impalamenti e mutilazioni, vendicano i loro simili con la legge del taglione. L’Inferno Verde invece ha tutta la motivazione dell’horror contemporaneo, senza troppe pretese intellettuali, tranne quella, forse forzata del sottoscritto, anti-rousseauiana “non esiste il buon selvaggio”; tantomeno il buon cannibale.

Da Cannibal Holocaust a The Green Inferno: comparazioni tecniche

La pellicola di Cannibal Holocaust era sporca di fango (letteralmente, per volontà del regista) in modo da rendere più veritiera la fotografia dei filmati; in The Green Inferno abbiamo una bellissima fotografia, degna del miglior film d’avventura, e gli effetti speciali niente male di Patricio Aguillar.

Eli Roth regista è cresciuto a “pane e Alien” come da lui già ammesso nella sua adolescenza e, successivamente, ad “acqua e Deodato”, avendo conosciuto il cinema di genere italiano (lingua che conosce e che parla) tramite Dario Argento e Lucio Fulci. Roth compare nel film come attore, anche qui in omaggio a Deodato che, però, in Cannibal Holocaust è solo una comparsa (l’uomo al parco). Certo, é una parte marginale, rispetto a quella del sergente “Orso ebreo” in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino.

Cast a confronto

Nel film di Deodato c’erano diversi attori già apprezzati da tempo, che si calarono con difficoltà nelle parti a loro assegnate, mentre in quello di Roth gli attori, a esclusione di Sky Ferreira (nel film Kaycee) e Magda Apanowicz (Samantha), sono pressoché sconosciuti. Lorenza Izzo, la protagonista, é arrivata a Los Angeles solo nel 2012 e da lì ha iniziato a collaborare con le case cinematografiche, cominciando con Knock Knock, psico-thriller diretto dallo stesso Roth e con la partecipazione di Keanu Reeves.

Ariel Levy dal 2011 ha lavorato nel mercato del cinema inglese, collaborando sempre con Roth ad Aftershock e la stessa Izzo (come dire, si rimane in famiglia). Nonostante lo sforzo,il film non eguaglia minimamente Cannibal Holocaust e nemmeno Hostel, per altro prodotto da Tarantino, e Cabin Fever.

Deodato cercò maniacalmente attori inglesi o che conoscessero l’inglese, per puntare al miglior realismo possibile nella presa diretta. Francesca Ciardi (Shanda Tomaso) e Luca Barbareschi (Mark Williams), conoscendo l’inglese, fecero al caso suo.

Controversie legali di Cannibal Holocaust

Cannibal Holocaust causò molte controversie, anche di natura legale. Non soltanto i tempi erano altri, ma anche le tecniche di regia. Tutti i nomi delle tribù sono reali e le loro abitudini sono le stesse che si vedono nel film. Oltre alla tribù Shamatari, nel film sono presenti anche le tribù dei Tibuna e degli Anamaru, per dare la sensazione di trovarsi realmente a che fare con tribù amazzoniche.

Le scene in Cannibal Holocaust vennero quasi tutte tagliate dalla censura. Deodato usò vere frattaglie e sangue per scolpire nella mente dello spettatore scene memorabili, costruendo sequenze di sesso e mattanza assolutamente realistiche, per le quali l’indigena impalata e la stessa attrice Francesca Ciardi verranno credute morte, necessitando la loro presenza in un tribunale per comprovare la loro esistenza. Non parliamo poi delle azioni legali e mediatiche contro le vere uccisioni di animali durante le riprese del film.

The Green Inferno: film d’avventura in salsa horror

In The Green Inferno si va da un misto di effetti speciali nuovo stile e pupazzi animati (molto ben fatti) a formiche assassine chiaramente digitalizzate. Il grande Riz Ortolani, nome affine artisticamente a quello di Ennio Morricone, curò una colonna sonora che in Cannibal Holocaust accentua la gravità delle scene. Manuel Riveiro non riesce a convincere in un sottofondo più simile allo stile avventura che non a un horror.

The Green Inferno vuole essere un film d’avventura tendente all’horror con sfumature splatter. Tutto e niente? Vi è piuttosto l’esigenza di coniugare l’obbligo di un mercato, come quello cinematografico attuale, sempre più bisognevole di ampio pubblico e denaro; dall’altro, un tentativo di rendere trash il capolavoro di Deodato. Gli stessi indigeni sono fin troppo surreali, a cominciare dal capo guerriero fino alla matriarca che sembra Deep in Pirati dei Caraibi.

Paragone fra generazioni: il vecchio Deodato e il giovane Roth

La ragione di vita di The Green Inferno sta nel suo essere un omaggio trash in una società del trash, quindi valido a pieno titolo; senza contare un tentativo di paragone “intellettuale” valutando i due film come lo sguardo completo alla società contemporanea visto da due generazioni diverse, quello del “vecchio” Deodato e del giovane Roth.

Una domanda sorge spontanea, e parte proprio dal film: “Chi finanzia le spedizioni umanitarie?”. Senza volerlo, il cameo del narcotrafficante che, pieno delle sue esigenze oligarchiche, finanzia la spedizione risponde, più d’ogni altra cosa, a una novità sceneggiatrice che però il regista non sfrutta appieno. Sarà per la prossima volta, che sicuramente ci sarà.

Danilo Campanella

Nato a Roma nel 1984. E' laureato in filosofia a indirizzo storico-critico. Da anni impegnato in programmi di divulgazione ed educazione culturale, scrive per numerose testate giornalistiche e di divulgazione, sia cartacee che online. Artisticamente parlando si é occupato di fumetto (disegnatore e sceneggiatore) e di cinema (critico e recensionista). Ritiene che alcuni generi (fumetto e cinema horror e giallo) siano sottovalutati benché carichi di significato antropologico, filosofico e psicologico. Per questo motivo andrebbero meglio considerati e valorizzati, seppure con i dovuti "distinguo". Tra le sue collaborazioni in questo campo: NIF Productions; Spartan Project; Milano Top News; Nocturno.it
Leggi tutti gli articoli di Danilo Campanella

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *