
Quando raggiungiamo una certa età, sembra normale acquisire delle abitudini, trovarsi una propria routine, insomma fare più o meno le stesse cose. È qualcosa che ci da stabilità, sicurezza e controllo. Per molte persone, tuttavia, routine è sinonimo di noia, di monotonia e per alcuni anche di fallimento. O forse, questo è quello che ci fa credere la società.
In un mondo in cui la competizione, la novità, la prima pagina, la foto con più like sono tutto, rimane spazio per quelle persone che ricercano la semplicità e la bellezza delle piccole cose?
Perfect Days: le giornate di Hirayama
Perfect Days (Wim Wenders, 2023) è la storia di Hirayama (Kōji Yakusho), un uomo sulla cinquantina che lavora come addetto alle pulizie per The Tokyo Toilet, la catena di bagni ultramoderni di Shibuya. È un uomo silenzioso e solitario, con una passione per le piante, per i libri, la fotografia e la musica.
Le giornate di Hirayama si svolgono tutte alla stessa maniera: si sveglia al suono della scopa della vicina che spazza la strada, si lava il viso, si rade la barba e si taglia perfettamente i baffi. Poi, si prende cura delle sue piantine, si veste per uscire, prende il caffè al distributore automatico, prende il furgoncino vintage che ha modellato secondo le sue necessità e va a lavoro ascoltando le sue cassette rock anni ’70 e ’80.
Seiso: pulizia e rinascita
Non sappiamo se a Hirayama piaccia il suo lavoro, ma è sicuramente bravo nel farlo. Pulisce un bagno dopo l’altro con velocità, precisione e cura. Scopriamo perfino che si è costruito da solo molti degli strumenti che usa, per arrivare in ogni angolo e pulire a fondo gabinetti e lavandini. In giapponese esiste una parola, seiso, che significa appunto pulizia, ma questo termine nella cultura del Sol Levante viene spesso associato al concetto di rinascita.
In senso più ampio, pulire significa cancellare le cose negative per rinascere e ricominciare. Quasi come se pulendo qualcosa gli si desse una seconda possibilità, o la si facesse ripartire da zero. È un concetto che le persone di una certa età, come Hirayama, conoscono bene, ma che i giovani hanno difficoltà a capire, troppo influenzati dalla società che ci spinge a comprare sempre cose nuove, o che considera lavori come quello di Hirayama troppo umili.
木漏れ日 Komorebi: apprezzare la bellezza delle piccole cose
Quando il sole è alto e la città di Tokyo è in pieno movimento, arriva l’ora della pausa pranzo che si svolge anche questa sempre nello stesso posto e sempre allo stesso modo. Hirayama si siede su una panchina in un parco gestito dai monaci buddisti, pieno di alberi secolari altissimi, mangia un panino, osserva le fronde degli arbusti e scatta una foto con la sua macchinetta analogica.
Qui veniamo introdotti a un altro concetto della cultura giapponese: il komorebi. È una parola composta da tre caratteri, albero (木), splendore (漏れ) e sole (日), e si riferisce proprio a quella luce che, filtrata dalle fronde degli alberi, crea delle ombre sempre diverse, una luce quasi sfuggevole che viene coperta e scoperta di continuo. Komorebi significa apprezzare la bellezza delle piccole cose e ricordarsi che in fondo al tunnel c’è sempre una luce.
Hirayama sembra quasi ossessionato dal collezionare queste foto, tanto che ne possiede scatole e scatole, ovviamente tutte perfettamente catalogate. Potrebbero sembrare tutte uguali, ma in realtà non ce n’è una uguale all’altra, perché ogni giorno la luce è diversa, il vento che muove i rami e le foglie è diverso, ogni momento che passa è diverso da quello che lo precede.
Ensō: il cerchio come perfezione
La giornata di Hirayama si conclude come è iniziata, come a richiudere un cerchio perfetto. Dopo essere tornato dal lavoro, prende la bici e va ai bagni pubblici per lavarsi, poi si reca nel solito locale per cenare, dove non ha neanche bisogno di ordinare per essere servito. Torna a casa, legge un libro alla piccola luce dell’abat-jour finché, troppo stanco per tenere gli occhi aperti, si leva gli occhiali e si addormenta.
In giapponese cerchio si dice ensō e rappresenta appunto la perfezione, ma anche la forza, l’illuminazione e l’universo. Forse è proprio questo ciò a cui aspira Hirayama seguendo la propria routine, essere in pace con se stesso e con l’universo.
Hirayama vive il presente giorno per giorno, momento per momento, senza illudersi con fragili aspettative per il futuro e senza angosciarsi con lugubri rimpianti del passato. Forse, grazie alla routine, Hirayama ha trovato la chiave per la felicità.
Le differenze tra un giorno e l’altro ci sono e sono date molto spesso dagli incontri con altre persone. Sono infatti le persone gli esseri più mutevoli di tutti e in Perfect Days incidono sensibilmente sulla narrazione, dal collega Takashi alla giovane Aya, la nipote Niko, la cuoca Keiko e il marito Tomoyama.
Personaggi secondari ma non meno importanti sono il barbone che Hirayama vede ogni giorno, la ragazza seduta nel parco che sembra sempre sul punto di piangere, e poi la città di Tokyo che è già di per sé una comparsa assai rilevante.
Perfect Days by Wim Wenders: riflessioni d’Oriente applicabili alla società occidentale
Perfect Days è un film dallo stile quasi documentaristico che affronta questi e tanti altri temi che riguardano la cultura e la società giapponese, ma non solo. In realtà si anima di riflessioni applicabili facilmente anche alla nostra società. Lo fa con una delicatezza e una precisione uniche, che possono appartenere solo alla sapiente mano registica di Wim Wenders, (Il cielo sopra Berlino).
Una pellicola cinematografica che non può non rimanerti nel cuore, ricca di sfumature e con un pregio esclusivo: fare dei bagni pubblici un’opera d’arte. Ed è esso stesso un’opera d’arte che però non pretende di dare risposte, quanto più di generare domande. L’unica vera risposta data dal silenzioso Hirayama è questa: “Oggi è oggi. Un’altra volta è un’altra volta.”