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Una misteriosa telefonata

Le donne secondo Totò. O meglio, le donne secondo Steno e Monicelli, attraverso la mimica e la comicità irresistibili del principe della risata, nonché principe di Bisanzio Antonio De Curtis. In questo film – appunto Totò e le donne – come in molti altri di quegli anni, l’estro comico del grandissimo comico napoletano viene incanalato (ma non imbrigliato) in alcuni ruoli standard che, oltre a permettergli un certo raggio di azione, riescono a metterne in luce la profonda umanità.

Così accade anche per questa pellicola, dove Totò è alle prese con una serie di donne che, volenti o nolenti, hanno condizionato la sua vita.

Un certo affare di orologi

In una delle scene, il Cavalier Filippo Scaparro (Totò), rientrato a casa dopo una giornata di duro e onesto lavoro, viene a sapere dalla domestica di una misteriosa telefonata, di cui essa non ricorda praticamente nulla.

Ora, si dà il caso che il Cavaliere stesse aspettando con ansia una comunicazione riguardo un certo affare di orologi, per il quale egli spera intensamente di migliorare il proprio status economico e sociale.

Come spesso accade in queste saporitissime commedie borghesi, anticamera della ben più famosa commedia all’italiana, le aspirazioni di riscatto del protagonista sono quasi sempre destinate a un’inesorabile frustrazione. Quando infatti la speranza comincia a vacillare, improvvisamente squilla il telefono: è lui, il ricco personaggio interessato all’acquisto degli orologi. È fatta. L’uomo si dichiara disposto a concludere l’affare. C’è un solo ostacolo: ha cambiato casa, e quindi numero.

Il nuovo numero è… – e comincia a dettarlo. Totò non trova la matita, lo ripete a voce alta cifra per cifra alla moglie, rientrata da poco, che si prepara a segnarselo su un foglio. Il nuovo cliente attacca; Totò fa un bel sorriso, si rilassa; ma in quel momento entra in scena la moglie che, matita alla mano, gli fa: “Allora, questo numero?”.

Il linguaggio delle immagini: cinepresa, verve comica e quinte teatrali

Sul linguaggio delle immagini, c’è poco da dire: la cinepresa se ne sta buona in un cantuccio, cerca di disturbare il meno possibile la verve comica ed espressiva degli attori, primo fra tutti Totò. Gli ambienti e gli spazi si riducono a mere quinte teatrali, con la sola funzione di identificare una dimensione, quella piccolo-borghese del primo dopoguerra, tutto imperniato di povertà, rinunce, desiderio di rivalsa, ma anche di profonda dignità e coscienza.

La quotidiana fatica di esistere

Il rigore morale neorealista si è attenuato; la speranza in un cambiamento immediato e radicale si è come diluita in un’aspettativa di più lunga durata. I grandi temi di giustizia e rivalsa sociale si ridimensionano in un minimalismo più attento alla vita concreta di ogni giorno, alla quotidiana fatica di esistere, raccontata attraverso un sorriso sarcastico ma non dissacratore; uno sforzo assiduo di restituire importanza ai vecchi valori, piuttosto che cercarne di nuovi.

Totò e la Commedia dell’Arte: l’universale nel particolare

E Totò, in questo contesto, come si muove? Totò è una delle ultime maschere della Commedia dell’Arte. Nei suoi momenti migliori, però (e sono tanti), i personaggi che interpreta possiedono una miriade di sfaccettature umane, che li rendono vivi e tangibili ai nostri occhi. Eppure, in tutti loro vi è un sostrato comune, che chiameremo ‘Totò’: l’universale nel particolare. La sua grandezza non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Guarda la scena

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