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Intelligenza Artificiale fuori controllo: da HAL 9000 alla domotica “impazzita”

A still from 20th Century Studios’ THE CREATOR. Photo by Oren Soffer. © 2023 20th Century Studios. All Rights Reserved.

Che cos’è l’intelligenza artificiale? Come funziona? Potrà sostituirsi a noi in tutto? Se le macchine fossero in grado di pensare? Se lo chiese già nel 1950 il matematico britannico Alan Turing. Ebbene, una risposta precisa alle tante domande ancora non l’abbiamo.

Il ruolo dell’A.I., infatti, è in continua evoluzione. Questa “idea” ha solleticato la mente umana suscitando sia speranze che timori, basandosi sull’augurio di poter arrivare a sviluppare delle “macchine” dotate di capacità di apprendimento automatico ispirandosi ai modelli umani.

Nel corso dell’intera storia del cinema, e in particolare negli ultimi decenni, tante sono state le pellicole che si sono ispirate a questo tema. Esempio recente: The Creator (Gareth Edward, 2023), in cui viene immaginata una guerra senza fine fra la razza umana e, appunto, l’intelligenza artificiale.

Metropolis e 2001: Odissea nello spazio, una visione del futuro

Il primo film è Metropolis, film muto di Fritz Lang datato 1927, ambientato nell’allora lontanissimo 2026, nella città di Metropolis appunto, dove appare per la prima volta un androide dalle sembianze femminili, Maria, incaricata di controllare i malumori degli abitanti della città.

Questa pellicola fu di ispirazione per grandi successi come il Blade Runner di Ridley Scott (1982), fonte dell’escatologia primaria dei replicanti bramosi di longevità e conoscenza. “Più umani degli umani” secondo Eldon Tyrrell, slogan incarnato impeccabilmente dallo straordinario Roy Batty.

Il primo esempio di A.I. nell’accezione più moderna e concettuale è il computer HAL 9000, villain dal linguaggio binario al centro di 2001: Odissea nello spazio firmato nel 1968 dal geniale Stanley Kubrick, tratto da un racconto di Arthur C. Clarke.

Attraverso un viaggio che parte dal passato dell’umanità, il regista arriva ad anticipare genialmente gli sviluppi dell’intelligenza artificiale (non per nulla hanno collaborato con lui i massimi esperti del campo, come il matematico-informatico Marvin Minsky) sfociando in una situazione di sensibilità quasi umana che immagina addirittura una macchina, HAL, capace di un barlume di pensiero autonomo, in grado di ribellarsi ai creatori in carne e ossa, di distruggerli, in nome della propria sopravvivenza e della missione da portare a termine.

Colpisce la tecnologia antropomorfizzata tramite una rappresentazione che, seppur datata, mostra una chiara, mistica visione del futuro, in parte già oggi realizzata. Attraverso capolavori cinematografici come questo, la fantascienza propone – con grande anticipo rispetto agli sviluppi della scienza e della tecnologia – un punto centrale della riflessione sulle macchine pensanti.

Da qui conviene quindi partire, forse, per cercare di capire se davvero, come, nell’immaginario collettivo, siamo vulnerabili di fronte al progresso che ci seduce con l’obiettivo di semplificare le nostre esistenze o salvarci da un mondo in rovina che noi stessi abbiamo creato.

L’illusione virtuale di Matrix

Lo scenario rappresentato in Matrix (1999), primo capitolo del franchise incensato dalla regia dei Wachowski, racconta proprio di un mondo che sembra reale, mentre è, invece, solo la proiezione di un impulso elettrico fornito al cervello da un’intelligenza artificiale, un colossale sistema computerizzato che alleva e utilizza il genere umano per succhiarne l’energia necessaria alla propria sopravvivenza.

L’illusione della realtà in cui le macchine fanno vivere l’uomo è finalizzata al loro scopo, per ottenere individui migliori. Questa saga è diventata una delle più emozionanti interpretazioni delle possibilità del virtuale, e dell’infinito potere che un’A.I. può esercitare. E tutto ciò sembrava fantascienza.

Oggi invece ci siamo spinti oltre e oltre ancora ci stiamo spingendo. Assistiamo a una vera e propria trasformazione del modo di vivere attraverso strumenti che fino a pochi anni fa non ci saremmo neanche immaginati.

Io, Robot e Terminator: la robotica che vuole comandare

Nel 2004 Alex Proyas dirige Io, Robot, liberamente ispirato al racconto dello scrittore e biochimico Isaac Asimov. La storia è ambientata anche qui nel futuro 2035. Le macchine condividono il pianeta con gli esseri umani e hanno liberato gli stessi dal peso dei lavori più scomodi o faticosi che i robot svolgono con diligenza e precisione.

L’opinione pubblica ha accettato con assoluta fiducia questi servizievoli e inoffensivi simulacri dell’uomo, a eccezione del protagonista, che invece vede in loro una potenziale minaccia. Nonostante, infatti, la presenza delle Tre leggi della Robotica, qualcosa non va. La concezione dell’alveare, in cui tutte le macchine obbediscono a una singola volontà super raziocinante, viene meno quando l’A.I. sfugge al controllo eludendo con logica deduttiva i limiti imposti dalle Tre Leggi.

Le macchine adesso non vogliono più servire l’uomo, considerato imperfetto e fallace, ma distruggerlo e prenderne il posto riconoscendosi come esseri superiori, quindi più idonei a governare la Terra. Ancora una volta assistiamo al fallimento di un’idea di perfezione che mette la vita dell’uomo in mano a degli strumenti inficiati dall’imperfezione di chi li ha creati.

Naturale il rimando all’ispirazione cardine data da Skynet e dai suoi micidiali araldi messi in scena da James Cameron, che nel 1984 fece conoscere un cyborg inesorabile, il T-800, nel fantascientifico action Terminator, seguito nel 1991 da Terminator 2 – Il giorno del Giudizio e da altri cinque capitoli.

Generazione Proteus: l’incubo della domotica coercitiva

Il cinema si è parallelamente occupato di capire cosa succederebbe se ci trovassimo rinchiusi forzatamente all’interno della nostra abitazione, costretti a sottostare alle regole di una casa infestata non da spiriti malvagi o fantasmi ma… dalla tecnologia. Oggi i tempi moderni ci hanno portato Alexa, i suoi comandi vocali, i Dot di ultima generazione, porte e serrande automatiche. Eppure, se all’improvviso non avessimo più la piena padronanza di questi mezzi, diventeremmo preda della volontà autonoma dell’home sweet home, casa dolce casa.

È quanto avviene in Generazione Proteus, horror sci-fi diretto nel 1977 da Donald Cammell. La bella Susan Harris è sottoposta a dure prove fisiche e psicologiche da Proteus, una A.I. che la tiene segregata in casa osservandola costantemente, manipolandola e minacciandola. Arriva perfino a maturare il desiderio di avere un figlio dalla donna, cosa che rende possibile impiantandole una cellula modificata, sintetizzata dal computer.

E quando ella partorisce, la creatura nata assume le fattezze di un perfetto ibrido tra uomo e macchina, neanche lontanamente concepibile nemmeno nel Terzo Millennio che stiamo vivendo.

Alla luce di tutto questo, siamo dunque vulnerabili? La tecnologia ci rende indifesi? Forse, ma ciò che emerge ci dice che l’intelligenza artificiale non è il male e non è da temere in quanto tale. Il vero pericolo risiede, piuttosto, nell’utilizzo che ne fa il suo creatore, l’uomo.

Chiara Mancioli

Ciao a tutti, sono Chiara, sognatrice con i piedi per terra e con la passione per le belle storie e, perché no, anche per il lieto fine. Ho avuto la fortuna di approcciarmi al cinema prima dell’avvento dei multisala e delle piattaforme streaming e, ancora oggi, preferisco decisamente la sala alla comodità del divano di casa. Come dicevo sono una sognatrice, e per me questo è il cinema: è sogno, è conoscenza, è una finestra aperta sul mondo e su infiniti altri mondi. Si spegne la luce e il viaggio inizia. E il mio viaggio inizia da qui.
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