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Il deserto, teatro e fabbrica di visioni per il cinema

Dalla strada polverosa alla classica città fantasma del western, con i suoi saloon, ufficio dello sceriffo, banca e barbiere annessi, tutto assume un significato metaforico ben definito. Ma il deserto è quello che più ci colpisce, sterminato, infinito mare di polvere e silenzio solcato dal vento.

Terra di duelli, cimiteri e ricchezze nascoste

Ecco il luogo ideale per consumare il duello all’ultimo sangue di C’era una volta il West (Sergio Leone, 1968), la disfida a colpi di revolver fra Armonica e Frank.

Lo spirito che aleggia e che tutti cercano ha i tratti astratti del fantomatico urlatore nel nulla, un vecchio che si strascina e appare come un sogno, ma è in realtà un ingannevole miraggio creato dall’effetto dell’arsura e dello stordimento arrecato dal caldo cocente.

Un calore talmente intenso da crepare la terra in cui qualcuno ha deciso di seppellire cowboy disgraziati, padri, madri e anonimi senza nemmeno uno straccio di epitaffio. Quel cimitero tra le cui lapidi corre come un forsennato il Tuco, il “brutto” alla ricerca della tomba giusta che dovrebbe custodire un tesoro. È la memorabile scena che ci offre un’altra epica invenzione di Sergio Leone, Il buono, il brutto, il cattivo.

Il deserto trasforma e nasconde le sue ricchezze. Il bene prezioso non è una manciata di dobloni d’oro, dollari o gioielli ma l’acqua che scarseggia. L’acqua, elemento primordiale, la terra, altro elemento, il fuoco sputato dal bevitore inesperto e dall’energia degli abitanti, l’aria, che solo nel deserto spira in maniera eccezionale dondolando e muovendo insegne, porte, finestre, portando via cappelli e sollevando oggetti.

Da quel vuoto mortale, però, ogni tanto giunge un cavaliere solitario che non ha paura di affrontare il buco nero. Django trascina la sua bara e quell’immagine in movimento ancora oggi rappresenta il climax della poetica western di Sergio Corbucci.

Una poetica molto diversa da quella a stelle e strisce dipinta dal maestro John Ford sulla tela mozzafiato della Monument Valley, laddove l’assalto alla diligenza di Ombre rosse (1939) ha alimentato il falso mito dei pistoleri buoni contrapposti ai sanguinari pellerossa, ribaltato dallo splendido Balla coi lupi diretto da Kevin Costner nel 1990.

Dal selvaggio West alla moderna concezione dello spazio desolato

Cambia il tempo e, d’improvviso, la dimensione sperduta assume connotati nuovi, un’accezione moderna che la trasforma in un crocevia di storie mai tanto affollato. Come una sorta di magica alchimia che solo le crude fiabe possono trasmettere, ecco il deserto apparentemente vuoto animarsi di presenze, di vita, di fughe e regolamenti di conti in mezzo a strade, stazioni di benzina e persino motel.

I fratelli Coen hanno convertito la desolazione del selvaggio West nel grottesco, violento palcoscenico su cui si rincorrono i loschi characters di Non è un paese per vecchi (2007).

Le diligenze di Ford passano il testimone a rombanti motori in cerca di libertà. Si vedono passare Thelma e Louise inseguite dalle volanti della polizia, mentre nell’outback australiano un pullman chiamato Priscilla conduce le stravaganti Mitzi, Felicia e Bernadette verso il successo.

La vegetazione secca sparisce completamente a favore di dune sabbiose e distese desertiche percorse da Max Rockatansky, dalla blindocisterna di Imperatrice Furiosa e dai deliranti seguaci di Immortan Joe che scatenano la caccia nel magnifico Mad Max: Fury Road di George Miller.

Una dimensione catartica: il deserto nella fantascienza

La somma rappresentazione del deserto trova nella fantascienza e nel fantasy un’esplicitazione da brividi, diventando addirittura un luogo dentro il quale gli uomini acquisiscono una cultura ch’è consapevolezza di sé, necessaria per la rivoluzione: è il caso di Conan il cimmero, che nel deserto soffre, viene salvato e infine beneficia di una catarsi fondamentale per attuare la propria vendetta brandendo la spada atlantidea.

Ancora più emblematica la parabola di Paul Atreides, impegnato a radunare su Arrakis – il pianeta deserto ricco di melange – un esercito di Fremen per annientare i terribili Harkonnen e assurgere a essere divino, il Kwisatz Haderach.

Tanto nel romanzo letterario di Frank Herbert quanto nel Dune di David Lynch e nel remake di Denis Villeneuve, il deserto è co-protagonista dal carattere perfino extraplanetario. In verità è sempre stato per il cinema più un teatro ispiratore che una landa, una fabbrica di visioni, una proiezione paesaggistica enorme e sensazionale.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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