nel nome del padre scena
- Drammatico, Recensioni

Nel nome del padre

nel nome del padre locandinaTitolo originale: In the name of the father

Regia: Jim Sheridan

Sceneggiatura: Terry George, Jim Sheridan

Cast: Daniel Day-Lewis, Pete Postlethwaite, Emma Thompson

Musiche: Trevor Jones

Produzione: Irlanda, Regno Unito 1993

Genere: Drammatico

Durata: 134 minuti

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orso d'oro festival di berlino   Orso d’oro a Jim Sheridan

 

Regia: stellastellastellastella

Interpretazione: stellastellastellastella

Sceneggiatura: stellastellastellastella

Musica: stellastellastella

Giudizio: stellastellastellastella

 

Trama

Inghilterra, 1974. Una bomba esplode in un pub recando morti e distruzione. Dell’attentato, operato dall’IRA, vengono accusati degli innocenti cittadini irlandesi tra i quali Gerry Conlon (Daniel Day-Lewis) e suo padre Giuseppe (Pete Postlethwaite), detenuti poi per 15 anni in un carcere di massima sicurezza. Conlon Sr. morirà in cella mentre Gerry riconquisterà la libertà solo grazie alle indagini dell’avvocato Gareth Peirce (Emma Thompson).

Recensione

Un effluvio di patriottismo, storiografia cronachistica e moralità espressa nei principi basilari. Il film di Jim Sheridan si lega indissolubilmente all’essenza popolare dell’Irlanda, terra natìa del regista, sprigionando attraverso un grido di speranza, angoscia e sordida rivendicazione la parte più vivida della denuncia sociale, suffragata da un fatto realmente accaduto nella prima metà degli anni ’70.

L’autore cinematografico de Il mio piede sinistro (1989) mette in scena una storia forte e spiazzante, affidandosi nuovamente al grande interprete Daniel Day-Lewis, capace di infondere al suo Gerry Conlon un’energia intrisa di audace ribellione, in seguito a una grave ingiustizia perpetrata dal sistema legale inglese, l’ennesimo scontro nell’ambito dell’eterna, falcidiante battaglia politica fra Inghilterra e Irlanda.

Le note di Bono Vox, leader degli U2, si spandono seguendo i fili che cingono impietosi la parabola proletaria di una famiglia di Belfast, scelta come capro espiatorio dalle autorità in conseguenza a un sanguinoso attentato dell’IRA.

La pellicola sviluppa la narrazione secondo uno schema a cornice: definito il ritratto di un paese flagellato dall’onta terroristica e dalla radicata povertà, si passa alla demarcazione del territorio famigliare e alla delineazione dell’irresponsabilità giovanile, incarnata da Gerry e dagli amici, investiti dalla crudezza dell’attualità e stravolti dall’incubo dell’imputazione precedente alla detenzione.

Il carcere, luogo limbico nel quale vigono regole precise e vincolanti, stringe ulteriormente il diaframma narrativo di Sheridan, aprendo però la questione più importante, nonché la più significativa: il rapporto fra padre e figlio, pletora di infinite metafore e similitudini. Gerry e il genitore, Giuseppe, affrontano i demoni del loro passato, ripercorrendo le tappe di un’esistenza costellata di contrapposizioni e fatiscenze, delusioni e amarezze.

L’amore e odio provati dal figlio per il padre sono bilanciati dal sacrificio estremo di quest’ultimo, in grado di arginare il fiume filiale e, conseguentemente, fargli acquisire una pace e libertà interiori guadagnando onore e rispetto senza il facile uso della violenza, verbale o fisica che sia. Nel costrutto intimo che vede coinvolte due generazioni, la significanza di un nome capace di innescare un simbolismo biblico di raro rimando concettuale affronta, epurata dalla coltre di retorica demagogica, un tema in grado di smuovere talune coscienze evitando l’acclamazione del miracolo.

La salute di Giuseppe appare cagionevole quasi quanto la capacità di Gerry di maturare ma, in maniera sorprendente, la caduta di uno è destinata a donare vigore e spiritualità all’altro. Dopo 15 anni, la vita del ragazzo può tornare alla luce “Nel nome del padre”.

Orso d’oro al Festival di Berlino, il film ha ottenuto ovunque consensi valorizzando la figura paterna e accentuandone i caratteri salvifici.

Curiosità

gerry conlon libero

La pellicola è stata candidata a 4 Golden Globes e 7 Oscar, non ottenendo però nessun riconoscimento a differenza dei festival europei, dove ha fatto incetta di premi.

Samuele Pasquino

Classe 1981, mi sono laureato in Lettere presso l'Università degli Studi di Torino. Giornalista dal 2012, ho studiato storia del cinema specializzandomi nell'analisi di pellicole di tutti i generi dalla nascita della Settima Arte a oggi. Tenendo ben presente il concetto di lettura non come intrattenimento bensì come formazione, mi occupo da anni anche di turismo e realizzo reportage di viaggio. Estremamente sensibile alla tematica enogastronomica, tratto la materia con un'attenzione specifica verso la filiera di qualità fra tradizione e innovazione. Per me il giornalismo non è solo una professione, è una missione!
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